Tutto il buono del caffè. Ma senza esagerare





Lungo o ristretto il caffè è un rito a cui pochi italiani si sottraggono.
Ora una ricerca statunitense, pubblicata su Diabetologia, la rivista dell'European Association for the Study of Diabetes, suggerisce che si tratti di un'abitudine salutare, perché chi beve caffè risulterebbe maggiormente protetto dal diabete: lo dicono dati ottenuti seguendo per otto anni oltre 100 mila persone, per le quali si sono registrati i cambiamenti nel tempo delle abitudini nel consumo di caffè e l'eventuale comparsa di diabete di tipo 2.
Ebbene, chi negli anni ha pian piano iniziato a bere un pò più di caffè, aumentando di circa una tazza l'introito quotidiano, ha visto scendere il pericolo di diabete dell'11 per cento; chi al contrario ha ridotto il consumo ha visto crescere la probabilità di diabete.
C'è di più: il rischio di malattia in chi beveva oltre tre tazze di caffè al giorno è risultato del 37 per cento più basso rispetto a quello di chi si attestava su una tazza giornaliera o su quantità ancora inferiori.
L'effetto protettivo del caffè contro il diabete è emerso anche da ricerche precedenti, condotte utilizzando la bevanda "vera" e non la sola caffeina.
Il caffè, infatti, è un mix di sostanze e pare che i composti fenolici antiossidanti che contiene abbiano un ruolo protettivo non secondario. I composti presenti della tazzina, peraltro, variano a seconda del metodo di preparazione: i dati dello studio statunitense, ad esempio, sono stati ottenuti considerando tazze di caffè americano, che contengono quantità di caffeina maggiori rispetto alla tazzina "all'italiana" (intorno ai 120 milligrammi in media, contro i 50-80 milligrammi dell'espresso).
Le tre tazze "protettive" contro il diabete corrispondono perciò a circa 4-5 tazzine del caffè cui siamo abituati in Italia, una "dose" che la maggioranza degli esperti ritiene non eccessiva.
Va ricordato, infatti, che la caffeina è, comunque, una sostanza che può dare "effetti collaterali", fra cui "il disturbo da uso di caffeina" che da poco è stato riconosciuto dall'American Psychiatric Association e descritto nelle sue caratteristiche da uno studio sulle pagine del Journal of Caffeine Research. Si tratta di una dipendenza che riguarderebbe dal 10 al 30 per cento della popolazione generale.
"Le azioni della caffeina dipendono dalla sua capacità di stimolare recettori che si trovano sia nel cervello sia nel sistema cardiovascolare. Le conseguenze del consumo di caffè e simili sono una sensazione di maggiore "allerta" ed energia, ma il  caffè favorisce anche le capacità mnemoniche e di concentrazione. La caffeina, inoltre, aiuta la digestione e la funzione di pompa del cuore".
Il 90 per cento delle persone introduce la caffeina principalmente con il caffè, ma la caffeina è presente in molti altri prodotti, come tè, cioccolato, energy drink e alcune bevande gassate: il rischio di eccedere con le dosi, quindi, aumenta.
"Accanto a una larghissima parte di consumatori che fa un uso moderato di caffeina - osserva  Laura Juliano del Dipartimento di Psicologia dell'American University di Washington - esiste una quota di soggetti per cui si instaura una dipendenza fisica".
Tre i campanelli di allarme:
- desiderare di tenere sotto controllo il consumo di caffè, ma non riuscirci;
- nervosismo, insonnia, tachicardia;
- sindrome da astinenza: rinunciando al caffè ci si ritrova con mal di testa, senso di affaticamento, umore "ballerino" e difficoltà di concentrazione che si risolvono al primo espresso.
Un'altra spia del disturbo è la tolleranza: in chi fa largo uso di caffeina, con l'andare del tempo per aver lo stesso grado di allerta post-caffè occorre berne due tazzine anziché una.
Tutti problemi che comunque possono essere evitati con un uso "ragionevole" di caffè, non superando quelle 4-5 tazzine al giorno.


Tratto dal corriere salute del  18-05-2014

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