Cuore e cervello sotto stress? L’orzo può proteggervi

 

L’orzo, uno dei primi cereali coltivati e una delle principali fonti di sostentamento per i nostri antenati, dopo un lungo periodo di oblio, sta diventando di grandissima attualità.
Il merito va principalmente ai beta-glucani, particolari componenti della “fibra”, caratteristici dell’orzo oltre che dell’avena. Queste sostanze, finora erano note soprattutto per la loro capacità di controllare i livelli di colesterolo nel sangue e di attenuare i rialzi della glicemia dopo il pasto, ma ora si stanno rivelando infatti sempre più importanti anche per altri motivi.
«Lo abbiamo verificato di recente anche nel nostro laboratorio», conferma Vincenzo Lionetti professore di anestesiologia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. «La frazione idrosolubile dei betaglucani, quella preponderante nell’orzo - di cui è già stata riportata in letteratura scientifica la capacità antiossidante e immunomodulante - ha dimostrato, in uno studio da noi pubblicato sul Journal of Cellular and Molecular Medicine, la capacità di potenziare l’abilità delle cellule endoteliali (quelle che rivestono la superficie interna dei vasi) nel generare nuovi vasi sanguigni quando si trovano in una situazione di “stress ossidativo” dovuta, per esempio, a un eccesso di radicali liberi.
«In questo modo» chiarisce Lionetti, «si creano naturalmente dei by-pass coronarici utili a proteggere il cuore dall’ischemia. Inoltre, i dati di un nuovo studio stanno rivelando che le stesse molecole, anche quando veicolate da alimenti come pasta o altri preparati a base di orzo, proteggono dai danni dello stress psicosociale cronico, a livello di cuore e cervello».

«In attesa di conferme nell’uomo — conclude l’esperto — è stato interessante osservare che la dose giornaliera efficace per proteggere cuore e cervello è sovrapponibile a quei tre grammi di beta-glucani, che l’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare ha riconosciuto essere capaci di ridurre i livelli di colesterolo nel sangue»
Ma come possiamo fare per arrivare quei tre grammi (almeno) di beta-glucani, di orzo e avena, al giorno suggeriti dall’Efsa? Per gli alimenti che vantano in etichetta la presenza di beta-glucani basta verificarne il contenuto, avendo comunque l’avvertenza di variare le fonti e di seguire una dieta complessivamente equilibrata. Per quanto riguarda l’orzo come tale è più difficile rispondere, visto che il contenuto di beta-glucani varia anche sensibilmente in base a diversi fattori quali varietà e tipo.
In ogni caso, facendo riferimento a uno studio pubblicato sul Journal of Food and Nutrition Research, una porzione di orzo da 80 grammi dovrebbe essere sufficiente.
In questo studio, che ha preso in considerazione 111 varietà di orzo, il contenuto medio di beta-glucani è risultato pari a 4,2 grammi per etto, mentre l’avena ed il grano ne fornivano in media, rispettivamente, 3,5 e 0,5 grammi per etto.

Per essere una buona fonte di beta-glucani, l’orzo deve essere integrale?
«Prima di rispondere» chiarisce Rita Acquistucci, dirigente tecnologo del Crea-Nut , Centro di ricerca per gli alimenti e la nutrizione «può essere utile fare una precisazione. L’orzo integrale è quello che comprende il chicco intero in cui sono presenti l’endosperma (in cui si concentra l’amido), il germe (in cui si concentrano i grassi) e la crusca. Sotto forma di chicchi è meno utilizzato in cucina perché richiede un lungo periodo di ammollo.
«Più spesso — precisa Acquistucci — si ricorre all’orzo decorticato e ancor più al perlato che cuoce in poco tempo. Il primo viene ottenuto con un blando processo di raffinazio- ne che ne riduce la fibra, ma mantiene quasi inalterato il suo contenuto in carboidrati, grassi, proteine, sali minerali e vitamine. L’orzo perlato viene invece ottenuto a seguito di un processo di raffinazione decisamente intenso che determina la rimozione completa della parte esterna. Sebbene dal punto di vista nutrizionale l’orzo perlato sia un po’ più povero rispetto a quello decorticato, il suo contenuto in beta glucani resta comunque significativo, perché questi componenti sono distribuiti in larga parte nell’endosperma che rimane intatto dopo la perlatura. Sarebbe un errore, tuttavia, focalizzare l’attenzione solo su questi composti, dimenticando che l’orzo apporta anche amido, proteine, ferro, magnesio e diversi altri componenti che contribuiscono al buono stato di salute».
«Tra questi» chiarisce Acquistucci «ci sono polifenoli e vitamina E, con attività antiossidante, fitosteroli che aiutano a ridurre il colesterolo e i lignani, che fanno pure parte della fibra alimentare, e contribuiscono alla diminuzione del rischio cardiovascolare e oncologico. Poiché con la raffinazione questi composti si riducono, anche per l’orzo, come per gli altri cereali, continua a valere il consiglio di preferire i meno raffinati».

 Tratto dal Corriere Salute del 5 Febbraio 2017

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