I carboidrati? Benzina per il cervello. Ma bisogna imparare a scegliere quelli che sono (davvero) integrali

 

C’è stata la crociata anti-grassi, ora ridimensionata grazie all’arrivo di un nuovo “bersaglio”.
Adesso infatti c’è la crociata anti-carboidrati: le diete “low-carb” fanno furore, ma potremmo aver scelto un’altra volta l’obiettivo sbagliato contro cui lanciare i nostri strali.
Non solo perché i carboidrati sono la fonte principale di energia (dovrebbe arrivare da loro il 60 per cento delle calorie quotidiane, pure in chi non li tollera benissimo come i diabetici), ma anche perché sono indispensabili al benessere del nostro cervello e secondo uno studio su The Quarterly Review of Biology sarebbero i responsabili, assieme al consumo di carne, dell’incremento di volume del sistema nervoso che ci ha reso la specie egemone sulla Terra.
«I carboidrati sono stati essenziali per l’evoluzione del cervello umano — spiega l’autrice dello studio, Karen Hardy dell’università di Chicago —.
Questo organo utilizza fino al 25 per cento del bilancio energetico dell’organismo e fino al 60 per cento del glucosio in circolo nel sangue, è stato ed è quindi essenziale fornirgli carboidrati da fonti vegetali ricche di amido.
Inoltre a differenza degli altri primati l’uomo possiede sei copie, anziché soltanto due, del gene per l’amilasi salivare, enzima che digerisce l’amido.
Sono comparse circa un milione di anni fa e, assieme all’utilizzo dei metodi di cottura, hanno contribuito all’accelerazione del volume cerebrale umano che si è osservata a partire da circa 800 mila anni fa.
Mangiare carne ha avviato l’evoluzione del cervello, ma mangiare carboidrati ci ha reso ancora più intelligenti».
Guai allora a pensare che siano inutili o, peggio, che facciano male. A patto di scegliere quelli giusti, perché i carboidrati non sono tutti uguali e quelli raffinati, i più diffusi oggi, sono associati a non pochi problemi di salute: si è visto che aumentano il rischio di depressione nelle donne dopo la menopausa, ma anche che incrementano il pericolo di diabete, obesità, malattie cardiovascolari.

Le farine bianche, nelle quali viene eliminata la parte esterna del chicco di grano e il germe, sono infatti assimilabili a calorie “vuote”: non ci sono più fibre, vitamine e sali minerali del grano di partenza, ma quasi solo amidi molto facili da digerire, che con la cottura lo diventano ancor di più.
Il risultato è un cibo che comporta un assorbimento di glucosio veloce e abbondante, con il relativo picco di glicemia e quindi di insulina nel sangue (l’ormone che regola l’utilizzo dello zucchero da parte dell’organismo, rilasciato in quantità per far fronte al “fiume” di glucosio improvvisamente in circolo): picchi di glicemia elevati e rapidi portano a una discesa altrettanto repentina degli zuccheri nel sangue, così dopo aver mangiato carboidrati raffinati viene fame prima e si ricomincia a mangiare, mentre il pancreas deve seguire queste montagne russe con la sua produzione di insulina e si affatica sempre di più.
Come se non bastasse, i carboidrati raffinati sembrano incrementare il livello di infiammazione generale: da tutto ciò deriva la maggior probabilità di sovrappeso, obesità, diabete e malattie cardiovascolari.

La soluzione però esiste: basta mangiare molti vegetali e legumi e scegliere pane, riso, pasta e prodotti da forno integrali, in cui la presenza di fibre è abbondante e contrasta gli effetti dell’amido sulla glicemia.
Bene quindi le farine di tipo 1 o2 e i cereali integrali in chicco come orzo, avena, farro, ricordando che non basta che un prodotto sia “scuro” perché sia integrale: a volte viene solo aggiunta crusca a farine raffinate, in qualche caso addirittura melassa o caramello.
Infine, attenzione alla provenienza: in ciò che è davvero integrale resta la “buccia” del grano dove si accumulano anche eventuali pesticidi utilizzati per le colture, meglio quindi acquistare prodotti con la certificazione da agricoltura biologica.

Tratto dal Corriere Salute del 14 Maggio 2017

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